(AGI) – Roma, 19 apr. – A distanza di cinque mesi dalla 22esima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, che si e’ svolta a Marrakech lo scorso anno, e a poco piu’ di quindici mesi dall’Accordo di Parigi del dicembre 2015 (Cop 21), che ha riconosciuto come improcrastinabili gli impegni per la lotta ai cambiamenti climatici, ponendo l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale terrestre entro i 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, si accelerano le iniziative per allineare le politiche nazionali ed europee all’ambizione dell’Accordo di Parigi. Il confronto che Wec Italia e i Parlamentari per lo sviluppo sostenibile hanno lanciato oggi a Roma ha avuto lo scopo di analizzare possibili azioni per rendere piu’ efficaci gli strumenti adottati a livello europeo per conseguire gli obiettivi di diminuzione delle emissioni di gas a effetto serra. Obiettivi che l’Europa ha approvato nell’ottobre 2014 e che prevedono, al 2030, la riduzione del 40% delle emissioni di CO2, un incremento del 27% delle fonti rinnovabili e un incremento di almeno il 27% dell’efficienza energetica.
Tale confronto acquista particolare significato in questo momento in cui e’ in corso la revisione della direttiva Ets (Emissions Trading System), finalizzata a rafforzare il meccanismo di scambio delle quote di emissione di CO2 nel mercato europeo. L’Ets, dopo una prima fase di prova (2005 – 2007) la successiva fase di adempimento (2008-2012), e’ entrato nella terza fase che terminera’ nel 2020. Dal 2021 in poi, l’Ets entrera’ nella cosiddetta quarta fase che si protrarra’ fino al 2030, durante la quale dovra’ dimostrare la propria efficacia nell’innescare una trasformazione tecnologica capace di portare il settore energetico e quello industriale alla decarbonizzazione.
In questo contesto si inserisce lo studio di Nomisma Energia che analizza vantaggi e criticita’ dell’Ets, valutando iniziative integrative o alternative all’Ets stesso. Secondo la ricerca, presentata da Davide Tabarelli, in questi anni il sistema, pur risultando inizialmente un valido aiuto per le imprese soggette alla riduzione delle emissioni alteranti del clima, non e’ riuscito da solo ad avviare efficacemente la transizione verso tecnologie a basso impatto di carbonio. E questo soprattutto a causa del valore economico che le quote di CO2 hanno assunto sul mercato: prezzo troppo basso per consentire gli investimenti necessari a sostenere l’innovazione industriale e la ridefinizione del mix di combustibili per la produzione di elettricita’.
Secondo le ultime rilevazioni, la CO2 ha una quotazione che oscilla intorno al valore di 5 euro/tonnellata, molto al di sotto della soglia stimata da Nomisma Energia per stimolare almeno il cosiddetto “switch” fra il carbone e il gas. Un adeguato prezzo della CO2 – oltre a dare impulso alla generazione elettrica con impianti ad alta efficienza e a basse emissioni, come i cicli combinati a gas naturale – potrebbe anche favorire l’ulteriore sviluppo delle fonti rinnovabili.
Secondo lo studio potrebbe essere adottato il sistema Eps (Emissions Performance Standard) che in Gran Bretagna ha ridotto sensibilmente l’utilizzo di carbone per produrre energia.
“Passare dal carbone al gas – ha spiegato nel corso di una tavola rotonda Massimo Mantovani, chief Midstream Gas & Power Officer di Eni – e’ possibile: con 240 milioni di euro in piu’ all’anno si puo’ fare lo switch e ridurre del 60% le emissioni di CO2. Le infrastrutture ci sono, bisogna fare una scelta”.
Anche Andrea Stegher, senior vice president Corporate Strategy di Snam, si e’ soffermato sulle possibilita’ del nostro paese: “L’Italia e’ ben messa per lo switch carbone/gas. Ha le infrastrutture sufficienti, le centrali a ciclo combinato”. Per l’ad di Sorgenia Gianfilippo Mancini “dal fallimento del sistema Ets si puo’ imparare prendendo esempio dalla Gran Bretagna. Dobbiamo pensare ad alternative che spingano lo switch carbone/gas”. (AGI)
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