Roma – Stop ai call center che vincono le gare a prezzi stracciati comprimendo i costi del personale, freno alla delocalizzazione e obbligo di dichiarare da dove chiama e da dove risponde l'operatore. Sono le principali novità introdotte da una norma contenuta nella legge di Bilancio approvata dalla Camera. Apprezzamento è stato espresso dai sindacati che però ora temono il passaggio al Senato dove la norma potrebbe venire annacquata dietro pressione delle lobby. Cgil, Cisl e Uil si preparano a difenderla e chiedono inoltre l'ampliamento delle garanzie, con l'introduzione di ammortizzatori sociali per la categoria.
Delocalizzazione selvaggia addio
La richiesta è appoggiata anche dalle associazioni di settore, come Asstel, e dal presidente della Commissione Lavoro Cesare Damiano, che però pensa di affrontare il tema in un apposito ddl, difendendo quanto approvato alla Camera "da ogni tentativo di manomissione". In dettaglio, l'articolo 35-bis della legge di Bilancio introduce l'obbligo di comunicazione della localizzazione del call center e prevede che la delocalizzazione dell'attività sia comunicata 30 giorni (anziché 120) prima del trasferimento, oltre che al ministero del Lavoro e al Garante della Privacy, all'Ispettorato nazionale del lavoro e al ministero dello Sviluppo economico (indicando al Mise le numerazioni messe a disposizione del pubblico per il servizio delocalizzato).
Stop ai benefici per chi esce dall'Ue
La norma stabilisce una sanzione di 150.000 euro per ciascuna comunicazione omessa o tardiva, mentre sono confermati i 10mila euro di multa, per ciascun giorno di violazione, per chi ha già delocalizzato. Quanto a coloro che spostano le attività di call center in Paesi extra-Ue, successivamente all'entrata in vigore della legge, il divieto di erogazione viene esteso a qualsiasi beneficio, anche fiscale o previdenziale. Inoltre, viene garantito che la chiamata ricevuta venga da un operatore collocato nel territorio nazionale o dell'Unione europea, pena una sanzione amministrativa pari a 50.000 euro per ogni giorno di violazione. Infine, nel definire l'offerta migliore, le amministrazioni dovranno valutarle al netto delle spese del personale. Tra gli obblighi, anche l'iscrizione al Registro degli operatori di comunicazione.
Verso il rientro in Italia
Secondo la Uilcom, l'emendamento approvato favorisce la rilocalizzazione delle attività di call center in Italia e "sancisce un importante principio che riguarda il cambio d'appalto, efficace per combattere la pratica del 'prezzo più bassò che oggi è, di fatto, pratica diffusissima in un settore dove il costo del personale incide per almeno il 75% dei costi totali". Ma ora, avverte il sindacato, prima dell'approvazione finale "l'emendamento dovrà superare l'attacco al Senato di alcune lobby che ancora remano contro. Ci batteremo affinché questo non accada". Pronta non solo a difendere il lavoro della Camera ma a migliorare ulteriormente il testo la Slc Cgil: le novità rappresentano "un passo in avanti nella lotta alle delocalizzazioni dei call center, seppur non esaustivo".
I sindacati temono il Senato
L'emendamento è infatti un "avanzamento" rispetto alla situazione attuale, ma "nel corso dei prossimi lavori parlamentari deve essere integrato meglio precisando sia il concetto di 'costo del personale' ai fini della valutazione dell'offerta migliore, sia la necessità di prevedere l'introduzione per questo settore di ammortizzatori sociali (cassa integrazione guadagni)". L'impegno della Cgil è "vigilare con attenzione affinché questo emendamento non venga depotenziato nel passaggio al Senato e lavorare perché, nel corso dell'iter parlamentare, vengano introdotti adeguati provvedimenti per dotare il settore di ammortizzatori sociali strutturali".
Anche la Fistel Cisl plaude all'emendamento che "stabilisce finalmente le sanzioni, dando seguito all'articolo 24 bis del decreto legge 83 del 2012 rimasto inapplicato", ma teme il passaggio al Senato. La preoccupazioni delle organizzazioni sindacali è che facciano breccia le tesi di alcune aziende, secondo cui l'emendamento non aiuterebbe realmente il ritorno in Italia delle attività ma sposterebbe i call center da paesi extra Ue ad altri dell'Europa dell'Est come la Romania. Inoltre, i sindacati ipotizzano che, nel secondo passaggio, alcune forze politiche provino a ridimensionare l'emendamento ricorrendo alla argomentazione che il mercato vada lasciato libero.
Basta gare a massimo ribasso
Pronto a difendere le nuove norme sui call center anche il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, secondo cui però ulteriori norme per il settore andranno introdotte con una apposita proposta di legge. "L'emendamento che abbiamo voluto – fa notare l'ex ministro del Lavoro – è un po' il compendio della battaglia condotta in questi anni contro le gare a massimo ribasso e contro le delocalizzazioni. Queste scelte, condivise dal ministero dello Sviluppo economico, vanno difese al Senato nel caso ci fosse qualche tentativo di manomissione". Per Damiano, dopo "le stabilizzazioni effettuate al tempo del governo Prodi, è nuovamente prevalsa la logica del Far west" e per questo è importante che "il Senato confermi il risultato" ottenuto alla Camera.
"In un secondo momento – spiega Damiano – bisognerà procedere a un'ulteriore iniziativa, al di là della legge di Bilancio, per sconfiggere definitivamente la logica del massimo ribasso con l'offerta economicamente più vantaggiosa. Vorremmo inoltre promuovere una proposta di legge che, utilizzando i 30 milioni di euro stanziati da un altro emendamento che finanzia misure di sostegno al reddito per i lavoratori dei call center, facesse diventare questa cifra un innesco per costruire la cassa integrazione per il settore".