Cosa c’entrano i tulipani con la bolla di Bitcoin

Certo non gli fa difetto la chiarezza: Jamie Dimon, ceo di JP Morgan, ha definito i bitcoin “una frode”, una moneta adatta a “spacciatori e assassini” ed è convinto che si tratti di “una bolla peggiore di quella dei tulipani”. Ne è proprio convinto, da tanto da ripetere il concetto due volte nella stessa giornata: prima nel corso della Barclays Financial Services Conference e, poche ore dopo, in un'intervista a Cnbc.

Cosa c'entrano i Bitcoin con i tulipani

Ma che c'entrano i bitcoin con i fiori? Quella dei tulipani è l'esempio più classico di bolla speculativa. Gonfiatasi e scoppiata nei Paesi Bassi a metà nel XVII secolo. Intorno agli anni '30 del '600, l'Olanda incontrò una enorme domanda di tulipani. Il prezzo dei bulbi, di consenguenza, inizia a salire, rendendo il mercato talmente profittevole da spingere a migrare verso un settore (in apparenza) di grandi prospettive. La bolla inizia a gonfiarsi, anche perché i commercianti vendono non solo i fiori ma anche bulbi appena piantati o non ancora acquistati. Vendono cioè “allo scoperto”, scommettendo sul continuo rialzo dei prezzi. Quando ci si rende conto che domanda e valore non sarebbero stati sostenibili a lungo, iniziarono le vendite. Un'asta andata deserta fa scattare il panico, la bolla scoppia e i prezzi crollano. Chi produce tulipani non ha più compratori. Chi ha speculato si ritrova in mano con contratti inesigibili (anche perché erano vietati per legge). Cos'ha, tutto questo, in comune con i bitcoin?

Perché Jp Morgan è convinta che Bitcoin finirà male

Dimon è convinto che, prima o poi, “finirà male” e il valore si schianterà. È una previsione, in quanto tale non confutabile. Ma ci sono anche altri elementi da valutare. È vero che i prezzi fluttuano (nell'Olanda del '600 come sulla blockchain) su un mercato non regolamentato (il prezzo dei fiori si gonfiò sfruttando contrattazioni su mercati “informali”) ed che non può esserci l'intervento di istituti centrali. Ed è vero che esiste una certa instabilità. Ma, affermano i sostenitori del sistema bitcoin, c'è un fattore di equilibrio che i tulipani non avevano: il protocollo prevede un numero finito di bitcoin, la cui emissione rallenterà nel tempo fino al 2140 (data in cui verrà estratto l'ultimo). La loro disponibilità, quindi, sarà sempre più limitata.

Con due effetti: tenere a bada l'inflazione e promettere un apprezzamento strutturale nel lungo periodo. È questa la caratteristica che, da asset speculativo, renderebbe i bitcoin un bene rifugio, soggetto a variazioni ma al riparo dalle fluttuazioni economiche.

Jp Morgan vieta di usare Bitcoin ai suoi trader

Dalle parti di JP Morgan, maneggiare bitcoin è vietato: se un trader della banca cominciasse a farlo, ha detto Dimon, “lo licenzierei in un secondo, per due ragioni. È contro le regole ed è stupido”. Insomma, un tabù. Che però non viene imposto tra le mura di casa: “Mia figlia ha investito in bitcoin. Adesso li ha venduti e pensa di essere un genio”. Ma la visione di Dimon non è solo buia: è truce. La speculazione “finirà con l'uccidere qualcuno”. E ancora: “Conviene usare bitcoin anziché dollari americani se sei in Venezuela, Ecuador, Corea del Nord e in altri posti del genere. O se sei uno spacciatore o un assassino. Quindi sì, c'è un mercato, ma è molto limitato”.

"La speculazione finirà con l'uccidere qualcuno"

Il ceo di JP Morgan ha tenuto a sottolineare la distinzione tra bitcoin e blockchain, il cui utilizzo si annuncia promettente. D'altra parte la banca ha, già da un paio d'anni, avviato la sperimentazione della tecnologia per ridurre tempi e costi di transazione. E fa parte (e siede nel board) dell'Enterprise Ethereum Alliance, associazione che punta a sviluppare la piattaforma su cui viaggia Ether, l'altra grande criptovaluta. Decentralizzato o meno, regolamentato o no, quando parla il capo di JP Morgan, il mercato reagisce. Lo ha fatto anche quello dei bitcoin: dopo l'intervento di Dimon, il valore della criptovaluta ha perso poco meno di 150 dollari in pochi minuti.    

 

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