In 9 anni lo Stato italiano ha portato a casa 634 milioni di euro grazie agli assegni non incassati dai beneficiari. È quanto emerge dalla Relazione diffusa dai magistrati contabili lo scorso 27 giugno. Si tratta di titoli di credito, spesso utilizzati come cauzione o deposito in diverse tipologie di transazione.
Dal 2007, scrive il quotidiano Repubblica, una legge prevede che i conti correnti non movimentati per dieci anni, le polizze vita non riscosse, così come gli assegni circolari non incassati entro tre anni, finiscano nelle casse dello Stato. Stando alla Relazione, 320.346.684 euro – meno della metà del totale – sono entrati da polizze non riscosse dai beneficiari, specialmente famigliari ignari dei contratti di assicurazione stipulati dai loro congiunti.
A prevalere però sono gli assegni circolari in cui ordinante e beneficiario coincidono. È il caso – si spiega – di casi in cui si sceglie di fatto di ritirare dal proprio conto corrente delle somme che non si vuole figurino sul proprio conto, ad esempio per ottenere un Isee più basso, o più generalmente per tenere le somme nascoste e non “aggredibili” ad esempio in caso di riscossione.
Più o meno come ritirare i propri risparmi e nasconderli in banconote sotto il materasso o in una cassetta di sicurezza. Con la differenza però che le banconote occupano spazio, e quindi richiedono un luogo dove essere nascoste, ma anche però che mantengono inalterato il loro valore. L’assegno circolare invece dopo tre anni “scade”: e così molti, ignari, perdono la disponibilità dei propri fondi.
La legge, spiega ancora Repubblica, imporrebbe agli intermediari, cioè alle banche, entro 180 giorni dallo scattare della “dormienza”, l’obbligo di informare i titolari con una raccomandata all’ultimo indirizzo conosciuto ma a distanza di anni, o in caso di morte, le banche si trincerano dietro la difficoltà tecnica di effettuare la ricerca e spesso la prescrizione finisce per essere disattesa.