La grande crisi delle caramelle 

Sono tempi amari per i dolci. Le caramelle sono le vittime di un consumo più attento alla salute e agli zuccheri. Tra diete e sostenibilità, neppure Halloween sembra poterle salvare. Ci riusciranno le startup? È quello che si è chiesto un'analisi di CBInsights.

Lo scorso gennaio un gigante come Nestle ha venduto la sua divisione “caramelle” all'italiana Ferrero. E sempre più di rado i gruppi alimentari nominano la parola “candy” nelle conferenze con cui presentano agli investitori le proprie trimestrali. Le menzioni erano circa 60 alla fine del 2014 e sono calate a 30 nel secondo trimestre 2018.

Non sembra essere una coincidenza ma una tendenza: parlare di caramelle non sta bene perché hanno una cattiva reputazione. Anche nel mondo delle giovani imprese innovative, chi produce dolci fa più facica: dal 2015 a oggi, le startup del settore hanno raccolto 479 milioni di dollari, meno della metà di quanto non abbiano ottenuto le colleghe che si occupano di caffè nel solo 2018. Eppure, proprio queste imprese stanno provando a ridare slancio, con ingredienti più salutari, filiere più sostenibili e nuove tecnologie e strategie di marketing.

La sostenibilità vende bene

Si punta sulla fantasia: meno sullo zucchero, più ingredienti esotici e abbinamenti inconsueti per creare dolci “premium”. È il caso, ad esempio, di Tcho: ha sede a Berkeley, California. Produce (tra le altre) barrette al te matcha, peperoncino e cannella e persino alla pretzel. E distingue il cioccolato come in una degustazione di vini, con note “fruttate”, “agrumate” o “floreali”. Conta anche raccontare in modo diverso e garantire una produzione non solo più sana ma anche più equilibrata. Secondo Nielsen, le vendite di cioccolato sono aumentate del 3%. Ma il fatturato dei prodotti che si propongono come più attenti all'ambiente hanno fatto un balzo del 22%, quelli che usano solo ingredienti naturali del 16% e quelli da commercio equo del 10%. Theo è nata a Seattle e, oltre a cercare nuovi gusti (quinoa e riso nero, sidro) garantisce che i produttori abbiano la loro parte. Anche Alter Eco ha una filosofia simile: compra solo da produttori medio-piccoli e lavora la materia prima il meno possibile.

Dolce senza sensi di colpa

CBInsights individua anche un'altra possibile strategia: puntare su dolci “guilt-free”, cioè non tanto “senza zucchero” ma “senza sensi di colpa”. Sono caramelle e snack che usano altro per addolcire i prodotti e si rivolgono a chi ha particolari esigenze alimentari. La statunitense Unreal, ad esempio, certifica tutta la propria filiera come vegana, senza glutine, priva di prodotti artificiali e di ogm. Anche Smart Sweets esclude gli organismi geneticamente modificati, usa poco zucchero solo coloranti naturali. Non produce cioccolato ma caramelle gommose. Rau Chocolate propone invece bevande senza latte e con pochi grassi. Una sorta di spremuta di cacao, con un nuovo metodo di produzione che riduce o esclude gli zuccheri e punta su altri elementi nutritivi, come minerali e antiossidanti.

La lingua è un laboratorio

Si va a caccia di nuovi ingredienti che possano sostituire lo zucchero. Rau Chocolate è una delle società che ha iniziato a utilizzare il “monk fruit”, un frutto di origine asiatico con un grande potere dolcificante ma senza lo stesso apporto di calorie. La stevia è ormai sempre più diffusa, tanto da essere adottata anche da Coca-Cola. MycoTechnology, startup sostenuta dagli investimenti di Kellogg, ha scoperto dei funghi capaci di inibire alcuni sapori, come l'amaro. In questo modo esaltano la dolcezza, correggendo il gusto senza aggiungere calorie. A marzo Nestle ha lanciato i primi prodotti che adottano“una nuova struttura dello zucchero”. È fatto con cristalli “vuoti”, che lasciano sulla lingua un sapore simile ma sono più leggeri. Dietro il tentativo di salvare le caramelle, quindi, non c'è solo una differente lista della spesa. Ci sono diverse prospettive commerciali, nuove esigenze dei consumatori, ricerca e metodi produttivi innovativi.  

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