Per anni punto di riferimento dei romani che vogliono mangiare biologico, il “Canestro” abbassa – per sempre – le serrande dell’ultimo dei suoi tre punti vendita. Il sito internet è inaccessibile, la pagina Facebook chiusa. Difficile parlare con un responsabile, ma i motivi della chiusura sono facilmente intuibili. Gli ormai ex dipendenti attribuiscono la colpa del calo dei clienti alla concorrenza e alla vendita online. Le recensioni in rete sono in parte positive e in parte negative, ma quasi tutti i clienti concordano su un punto: i prezzi sono troppo alti.
Quanto costa mangiare biologico e sostenibile? Proviamo a fare due conti. Un pacco di pasta da NaturaSì, oggi la più diffusa catena di prodotti biologici in Italia, ha un prezzo che oscilla da 1,20 euro fino a quasi 5, a seconda della marca e del grano o cereale utilizzato. Un costo più elevato rispetto all’offerta dei marchi tradizionali. Un mix di verdure da circa 4,5 kg contenente patata gialla novella, melanzane, zucchine, fagiolini, peperoni, cipolla rossa costa intorno ai 20 euro. Circa 250 grammi di tranci di tonno surgelato costano all’incirca 8,50, qualche decina di centesimi in meno rispetto a quelli che si trovano nei negozi non bio. Gli hamburger freschi si portano a casa con 18/19 euro contro i 16/17 euro delle catene di supermercati.
Secondo una stima per un menù vegetariano biologico la spesa a persona si aggira intorno ai 5-6 euro, con pesce e carne il costo sale di qualche euro a seconda del prodotto. La conclusione, dunque, è che sì, a una prima occhiata, tendenzialmente mangiare bio è più costoso. Di un 15% circa, secondo diversi studi.
Ma quali sono i motivi? “Il prezzo allo scaffale del bio è più alto perché il costo di produzione di un prodotto bio vero è superiore al costo di produzione di un prodotto convenzionale”, spiega all’Agi Fabio Brescacin, presidente di NaturaSì. “Le produzioni sono minori, non potendo usare la concimazione chimica, i rischi sono maggiori non potendo usare insetticidi e anticrittogamici consentiti nell’agricoltura convenzionale e avendo a disposizione prodotti naturali che hanno un effetto più ridotto”. Non solo: “L’azienda biologica al posto della monocultura – che semplifica i processi produttivi e riduce i costi di produzione – effettua le rotazioni colturali e utilizza maggiore manodopera soprattutto per il controllo delle erbe infestanti”.
Un impegno che però alla lunga paga. “In Italia i negozi specializzati biologici sono circa mille”, spiega Brescacin che aggiunge: “Al momento non stanno aumentando. Il settore cresce, soprattutto per l’inserimento di prodotti biologici nella Grande Distribuzione, di conseguenza aumentano i clienti che acquistano bio”.
Quanto al prezzo – osserva ancora il presidente del gruppo – “secondo un calcolo fatto dall’inglese Soil Association il costo sanitario ambientale e sociale del prodotto convenzionale è il doppio di quello che viene fatto pagare ai consumatori. Questo significa che il prezzo non pagato dal consumatore allo scaffale comporta un costo sanitario ambientale e sociale che viene riversato sulla terra e le generazioni future. Quindi se parliamo del vero costo del prodotto, il prodotto bio ha un costo globale molto inferiore rispetto al prodotto convenzionale”.
Ci possiamo fidare della dicitura bio? “Un prodotto biologico – spiega Federbio – sia che provenga da coltivazioni, allevamento o trasformazione, porta con sé la garanzia del controllo e della certificazione di organismi espressamente autorizzati per l’Italia dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Come previsto dalla normativa europea, la certificazione biologica copre tutti i livelli della filiera produttiva”.
A tutela del consumatore – continua – “non solo chi produce, ma anche chiunque venda prodotti marchiati come biologici (freschi o trasformati, in campagna, all’ingrosso o al dettaglio), infatti, deve essere sottoposto al controllo, con ispezioni in loco. Ogni organismo ha un proprio codice che viene riportato sull’etichetta del prodotto insieme al logo biologico dell’Unione europea. Le regole in materia di etichettatura e uso del logo sono rigorose, per difendere i consumatori da confusioni con altro tipo di coltivazioni di denominazione fantasiosa quali “agricoltura ecologica”, “naturale”, “pulita” (per cui mancano sia criteri per la denominazione che il minimo quadro di controllo)”.