Quei 2 o 3 euro a notte, che a volte salgono fino a 7, che tocca aggiungere (il più delle volte in contanti) al momento del check-out dall’albergo si chiama imposta di soggiorno. Una tassa che colpisce tutti, sia che si viaggi per lavoro che per piacere. Sia che si soggiorni nella più spartana delle camere, sia che si decida di soggiornare nella suite di un 5 stelle. Non accade proprio in tutta Italia, ma la probabilità di imbattervisi è piuttosto alta: si paga in poco più di mille comuni (il 13% del totale), ma che insieme raccolgono il 75% delle presenze complessive nelle strutture ricettive. Comprende quindi ovviamente tutte le principali città, oltre alle più note località di mare e montagna.
Un gettito da capogiro: 600 milioni di euro ogni anno
Insomma, all’imposta di soggiorno non si sfugge né che si vada per musei a Roma, né al mare a Riccione e neppure in montagna a Cortina d’Ampezzo o a vedere i mosaici di Piazza Armerina, in provincia di Enna. E il gettito d’imposta che va a rimpolpare le casse comunali aumenta ogni anno, con stime da capogiro per il 2019: quest’anno ballano 600 milioni di euro, secondo quanto riferito da Federalberghi. “Sono 997 i comuni italiani che applicano l’imposta di soggiorno e altri 23 la tassa di sbarco”, spiega il presidente della federazione Bernabò Bocca, per un totale quindi di 1.020 località.
Gli ultimi dati certi risalgono al 2017. In testa, in ogni senso, c’è Roma: è la più cara (ora si spendono 7 euro a notte a testa per una camera in un hotel a 5 stelle), e naturalmente anche la più redditizia. Due anni fa il Campidoglio si era visto recapitare 130 milioni di euro.
Staccatissima c’era Milano, che incassava poco più di 45 milioni ogni dodici mesi, seguita da Firenze (33 milioni), Venezia (31) e Rimini (oltre 7 milioni e mezzo) che facevano meglio di città come Napoli, Torino e Bologna. Ma visto che i dati riferiti sono del 2017, quando il totale incassato dai comuni italiani era di 470 milioni, ora che le proiezioni parlano di 600 milioni forse i revisori dei conti comunali potranno allargare ancora un po’ il sorriso.
Come funziona la tassa di soggiorno
La tassa non è obbligatoria, è bene ribadirlo. Ogni comune, insomma, può decidere di introdurla oppure no. Stesso discorso per l’importo: oggi c’è massima libertà decisionale, purché si rispetti il tetto di 5 euro a notte (7 per Roma).
Se pensate che l’imposta di soggiorno sia un’invenzione recente, suggerita da spending review e dalle più recenti difficoltà economiche, vi sbagliate. A livello normativo, infatti, l’obolo dei viaggiatori fece la sua prima comparsa più di un secolo fa. Introdotto con la legge n. 863 dell’11 dicembre 1910, rimase in vigore per quasi tutto il Novecento, venendo abolito solo in occasione dei Mondiali di calcio ospitati in Italia nel 1990 (Decreto Legge 2 marzo 1989, n. 66).
A reintrodurla è stato il D.Lgs. del 14 marzo 2011, n. 23 che, all’articolo 4, stabilisce il diretto dei “capoluoghi di provincia, alle unioni di comuni nonché ai comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte” di istituire la tassa, per un massimo di 5 euro a notte.
I relativi ricavi, si legge nel decreto, devono essere “destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali”.
Le critiche: dove vanno a finire i soldi? E AirBnb che fa?
Non a tutti piace la tassa di soggiorno: se alcuni viaggiatori sorvolano, magari spinti dal relax guadagnato nei giorni di vacanza, Federalberghi attacca: “La tassa viene introdotta quasi sempre senza concertare la destinazione del gettito e senza rendere conto del suo effettivo utilizzo – le parole di Bocca – Qualcuno racconta la storiella dell’imposta di scopo, destinata a finanziare azioni in favore del turismo. In realtà è una tassa sul turismo, il cui unico fine sembra essere quello di tappare i buchi dei bilanci comunali”.
Senza considerare il tema degli affitti brevi tra privati, ad esempio su piattaforme come AirBnb. “È un far west – sostiene il presidente di Federalberghi – La legge ha stabilito che i portali devono riscuotere l’imposta di soggiorno dovuta dai turisti che prenotano e pagano attraverso le piattaforme, ma Airbnb assolve a tale obbligo solo in 18 comuni su 997. Per di più queste amministrazioni, allettate dalla prospettiva di nuovi introiti, si sono rese disponibili a sottoscrivere un accordo capestro, accettando un sistema di rendicontazione sostanzialmente forfettario, che non consente un controllo analitico e induce a domandarsi se non si configurino gli estremi di un danno erariale”.