Il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, teme che l'Ilva possa trasformarsi in una "Bagnoli 2" ma tre volte più grande come impatto a partire dal numero dei disoccupati: 20.000. I sindacati hanno paura che le indecisioni si prolunghino con effetti dannosi per la principale industria italiana dell'acciaio. Dopo la riunione del 29, al Mise si torna a trattare il 4 aprile ma a quasi un anno dalla conclusione della gara di aggiudicazione vinta da Am Investco (Arcelor Mittal-Marcegaglia), che ha battuto l'offerta della concorrenza di Acciaitalia (Jindal, Cassa Depositi e Prestiti, Arvedi e Del Vecchio), e dopo circa sette mesi di trattativa sia pure non continua, le preoccupazioni prevalgono su fiducia e futuro.
Ieri il problema principale dell'azienda – che occupa 14.000 persone di cui circa 11.000 a Taranto – era il rischio di protrarre la gestione commissariale dell'amministrazione straordinaria, insediata ai primi del 2015 a fronte di una elevata insolvenza economica certificata dal Tribunale di Milano. Oggi, invece, il problema principale sembrano essere i tempi lunghi che stanno avendo la meglio su rilancio avviato e piani in attuazione.
L'attesa per il verdetto di Bruxelles
All'inizio sembrava che il nodo prevalente dovesse essere il via libera dell'Antitrust europeo senza il quale non ci può essere il "closing" all'operazione. In altri termini, Bruxelles deve dire se la cordata e l'offerta di Am Investco, vanno bene così come sono state presentate oppure no. È già noto che così non è. E che Arcelor Mittal e Marcegaglia devono mettere sul piatto più di una rinuncia prima di ottenere il semaforo verde dall'Antitrust europeo. Ma questo non sembra più costituire un ostacolo rilevante.
Mesi fa in diversi, tra cui il governatore della Puglia, Michele Emiliano, avevano detto che Bruxelles avrebbe bocciato l'acquisto di Ilva da parte di Mittal perché la multinazionale è già un big mondiale dell'acciaio e dargli anche l'Ilva, avrebbe significato creare un monopolio. Ora, non è che la questione non esista, ma è anche vero che il negoziato tra Am Investco e autorità europee sta andando avanti in modo serrato, che l'approccio di entrambi è positivo, e che se Marcegaglia si è detto pronto ad uscire da Am Investco così come chiesto da Bruxelles, così Mittal ha offerto la disponibilità a dismettere produzioni ed impianti al di fuori del perimetro Ilva per avere l'ok europeo (i tagli nel perimetro Ilva non sono possibili per l'impegno contrattuale che Am Investco ha con Governo e commissari). Entro il 23 maggio, quindi, dopo una serie di rinvii (inizialmente si aspettava il verdetto a fine marzo), l'Antitrust europeo farà conoscere la decisione in merito ad Ilva sotto le insegne di Am Investco. Ma su questo non si nutrono grandi preoccupazioni. Allo stesso modo, sindacalisti, lavoratori e dipendenti Ilva dicono che la "presenza" di Mittal in fabbrica si vede già, che tale presenza crescerà nelle prossime settimane e che Mittal non ha intenzione di rinunciare all'azienda a cui fa capo il più' grande polo siderurgico d'Europa.
Le priorità dei sindacati
I nodi, quindi, sono nelle indecisioni, nello scenario politico nazionale e in una trattativa – sindacati e Am Investco – che non riceve ancora la spinta per planare verso l'accordo. "Siamo al punto in cui bisogna provare a fare sintesi e capire se ci sono gli spazi per arrivare ad una conclusione", chiede la Fim Cisl. L'azienda, rileva la Uilm, "continua a degradarsi, non ci sono investimenti sugli impianti, sulle tecnologie e soprattutto sull'ambiente". Mentre la Fiom Cgil si dice d'accordo sulla necessità di stringere, ma rileva pure che il negoziato deve avere come priorità i contenuti. E le priorità, per i sindacati, sono la necessità di evitare l'aggravarsi delle perdite (la Fim Cisl, citando dati Mittal, parla di oltre 300 milioni l'anno) e 4mila esuberi. Allo stato, infatti, Am Investco resta ferma sull'offerta iniziale: 10.000 addetti alla nuova gestione e il resto all'amministrazione straordinaria tra cassa integrazione e bonifica.
Il vero nodo è l'incertezza politica
Nessuno si aspetta già il 4 aprile l'intesa ma almeno uno scenario diverso rispetto agli altri incontri. Considerato che non si scorgono grosse nubi sul versante europeo e che anche sul fronte del ricorso al Tar di Regione Puglia e Comune di Taranto contro il Dpcm sul piano ambientale, si lavora a un accordo. Quantomeno col Comune, visto che il sindaco di Taranto, Melucci, ha dichiarato che non ritiene più il ricorso – nel frattempo trasferito da Tar Lecce a Tar Lazio – come l'opzione più produttiva. In questa fase, però, potrebbero pesare il successo dei Cinque Stelle alle politiche e la mancanza del nuovo Governo. Nel primo caso, i Cinque Stelle – che a Taranto hanno eletto 5 parlamentari – dicono di voler spegnere l'Ilva per avviare una grande riconversione basata su bonifiche, nuove attività e tutela dell'occupazione. Nel secondo caso, invece, l'assenza del Governo vuol dire assenza di chi deve garantire interventi pubblici di accompagnamento perché l'operazione Ilva si concluda: da misure sociali a incentivi per gli esodi agevolati. Anche se i lavoratori Ilva, che pure hanno votato in massa i pentastellati, dicono di non credere che Di Maio spegnerà l'Ilva. E pure l'arcivescovo di Taranto, Santoro, non sembra drammatizzare le conseguenze del voto. È emersa una grande sfida di cambiamento, dice, "non possiamo perdere quest'occasione. Sfruttiamola bene insieme".