Cina e Usa potrebbero presto accantonare le tensioni commerciali, rinfocolatesi dopo il caso Zte, e aprire un negoziato per evitare la guerra dei dazi, che nessuno dei due litiganti vuole. Pechino ha dichiarato il proprio apprezzamento per la possibilità dell'arrivo del segretario al Tesoro Usa, Steve Mnuchin, il quale sabato scorso, a margine di un meeting del Fondo Monetario Internazionale a Washington, aveva dichiarato che un viaggio in Cina per discutere le questioni economiche e commerciali è "preso in considerazione" dall'amministrazione Usa guidata da Donald Trump.
Mnuchin non si è sbilanciato in pronostici sulla tempistica, ma ha detto di essere “prudentemente ottimista” sulla possibilità di raggiungere un accordo con Pechino, stando all'agenzia Reuters. Un segnale di disgelo che trova conferma nelle dichiarazioni del governo cinese: "La Cina ha ricevuto informazioni sull'auspicio degli Stati Uniti di discutere a Pechino le questioni economiche e commerciali, cosa che la Cina accoglie con favore", ha reso noto il ministero del Commercio di Pechino attraverso un portavoce.
La Cina mete i puntini sulle i. Ribadisce la propria opposizione al protezionismo commerciale e il proprio sostegno al sistema di commercio multilaterale dalle pagine del suo giornale più rappresentativo: il Quotidiano del Popolo. Lo fa con un articolo pubblicato a firma del ministro del Commercio di Pechino, Zhong Shan. La Cina, scrive il ministro prendendo le mosse dal discorso pronunciato il 10 aprile dal presidente cinese, Xi Jinping, al Boao Forum for Asia sull'isola di Hainan, "deve opporsi fermamente a tutte le forme di protezionismo, promuovere il commercio globale e la liberalizzazione e la facilitazione degli investimenti".
Da parte sua, Mnuchin ha speso parole di apprezzamento sulle recenti aperture di mercato ai settori assicurativo e bancario annunciate dal governatore della banca centrale cinese, Yi Gang, nei giorni scorsi; i due si sono incontrati all'incontro del del Fondo monetario, ha dichiarato lo stesso segretario al Tesoro. Parole di elogio sono giunte all’indirizzo del governo cinese anche in merito al sostegno alle sanzioni delle Nazioni Unite contro la Corea del Nord, all’indomani dell’annuncio di Kim Jong-un della sospensione dei test missilistici e nucleari, che ha avuto il plauso di Cina e degli Stati Uniti.
La posta in gioco non è altissima ma neanche irrilevante: si parla di dazi e controdazi su merci di importazione dal valore complessivo di 150 miliardi da ambo le parti. Balzelli che in realtà, secondo gli osservatori, nessuno dei due intende perseguire (Trump è esasperato dal surplus commerciale con la Cina e dalla necessità di proteggere le tecnologie americane dai presunti furti cinesi).
La Cina non ha voluto dare l’impressione di cedere alle richieste di Washington, scrive il Financial Times, ma gli americani hanno registrato come un successo l’ulteriore apertura del mercato delle auto alle compagnie a stelle e strisce, a lungo richiesta da parte americana. Donald Trump si è detto "molto grato" al presidente cinese "per le belle parole” pronunciate dal presidente cinese alla "Davos Asiatica", quando Xi ha promesso tariffe più basse per le auto straniere sul mercato cinese.
Questi passi in avanti rischiano di essere frenati da almeno due focolai accesi.
Il primo riguarda la decisione del Dipartimento del Commercio Usa di vietare alle aziende americane le vendite per sette anni di componenti al colosso delle telecomunicazioni Zte; un provvedimento bollato come “ingiusto” dal colosso di Shenzhen che, in una durissima nota, dice di essere pronto a tentare tutte le vie legali per opporsi a un blocco che potrebbe portarla a fallire.
Il secondo ha a che fare con la possibilità contemplata dalla Casa Bianca di applicare l’International Emergency Powers Act (IEEPA) per bloccare lo shopping cinese di tecnologie Usa, scrive il Sole 24 Ore. Cioè? Si tratta di una legge che risale al 1977, usata per imporre sanzioni agli “oligarchi” russi, al regime di Pyongyang e a terroristi internazionali. Ora Washington la vuole usare per fermare la corsa cinese al predominio delle tecnologie del futuro.
Gli attriti politici possono avere ripercussioni negative sulle acquisizioni cinesi all’estero, che l’anno scorso hanno registrato una brusca frenata. Stando a un rapporto stilato da Baker McKenzie e Rhodium Group, gli investimenti diretti cinesi negli Stati Uniti sono calati del 35% nel 2017, scendendo a 30 miliardi di dollari (il calo in Europa è stato del 22%). Questa flessione è da imputare in parte ai controlli delle autorità di Pechino sul movimento di capitali (il governo ha diviso in tre categorie gli investimenti all’estero dei giganti cinesi: vietati, soggetti a restrizioni o incoraggiati), ma anche alle attività di interdizione esercitate dall’agenzia Usa sugli investimenti esteri: Cfius, che avrebbe bloccato progetti per 8 miliardi.
“Rapporti commerciali che riguardano lo scambio di beni e servizi e investimenti diretti sono in qualche modo correlati", ha commentato all'Agi Marco Marazzi, avvocato di Baker McKenzie. "Gli Usa – ha sottolineato – probabilmente dimenticano che una parte del deficit commerciale è dovuto a società americane che producono in Cina ed esportano parti o prodotti finiti, e che non sempre potrebbero rilocalizzarsi in America. Poi ci sono le aziende americane che producono per il grande mercato cinese locale. La guerra commerciale può indirettamente colpire questi investimenti e quindi ogni mossa va valutata con attenzione"