È il 22 settembre 2015 quando la Guardia di Finanza esegue una serie di perquisizioni presso gli uffici della Banca Popolare di Vicenza. Le ipotesi di reato, aggiotaggio e ostacolo delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, fanno intuire che si è di fronte ad un'inchiesta che avrebbe scosso l'intera BpVi, se non l'intero sistema bancario italiano. Un'inchiesta sfociata in un processo del quale si tiene oggi la prima udienza.
Le indagini prendono il via da alcuni esposti presentati da soci e correntisti della banca Popolare ma anche e soprattutto dalla decisione dell'ex direttore generale Samuele Sorato di valutare azioni legali nei confronti dell'allora presidente Gianni Zonin per alcuni attriti nella gestione della Banca. I magistrati che per due anni – fino al rinvio a giudizio per sette vertici della banca dello scorso settembre – hanno indagato sulla vicenda hanno spiegato che gli indagati "in tempi diversi, diffondevano notizie false e realizzavano operazioni simulate e altri artifici idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni BpVi e a incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale del Gruppo bancario". Non solo. Avrebbero anche concesso finanziamenti finalizzati all'acquisto e alla sottoscrizione di azioni, per un controvalore complessivo di 963 milioni, anche assumendosi l'impegno di riacquisto dei titoli per determinare una apparenza di liquidità del titolo sul mercato secondario. Ma ci sarebbe anche la partita delle "operazioni baciate", la diffusione di notizie false e un camuffamento delle fragilità interne e delle reali condizioni dell'istituto di credito.
Migliaia i risparmiatori coinvolti
Sullo sfondo dell'inchiesta compaiono le storie di migliaia e migliaia di risparmiatori, spesso pensionati o normali famiglie, che avevano affidato alla BpVi i risparmi di una vita sicuri di sottoscrivere obbligazioni "blindate" e in realtà tenuti all'oscuro dei reali profili di rischio delle azioni acquistate. Nel marzo 2016 il nuovo management, guidato dall'ad Francesco Iorio, porta in assemblea il progetto di trasformazione della banca in Spa, supportato da un aumento di capitale da 1,5 miliardi propedeutico anche alla quotazione in Borsa. A causa dello scarso supporto dei soci storici, che hanno visto il valore dell'azione crollare, e dell'assenza di nuovi investitori disposti a entrare l'operazione di rafforzamento patrimoniale sembra destinata a fallire.
A intervenire, sottoscrivendo l'intero importo dell'aumento, con l'emissione di 15 miliardi di nuove azioni a 0,10 euro, sarà il Fondo Atlante. Nel fondo converge anche Veneto Banca, coinvolta in una vicenda simile a quella della BpVi. Nella notte fra domenica 25 e lunedì 26 giugno 2017 Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca vengono poste in liquidazione coatta amministrativa e i tre commissari liquidatori nominati dalla Banca d'Italia per ciascuna delle due banche firmano i contratti di cessione a Intesa Sanpaolo, al prezzo simbolico di un euro, di un insieme di attività e passività facenti capo alle due banche fallite. Ne nasceranno una "bad bank" a cui restano alcuni asset e la maggior parte dei crediti deteriorati (le stime parlano di 18 miliardi di euro), che dovranno essere valorizzati dalla Sga, e una "good bank" da 26,1 miliardi di euro di crediti in bonis e altri crediti per circa 4 miliardi di euro non classificati come deteriorati, ma giudicati ad alto rischio, che finira' in pancia al gruppo milanese.