Energia, trasporti ed elettronica sono il nuovo volto del Made in Italy. Questi i comparti che hanno portato la produzione industriale a segnare a dicembre un inatteso rialzo del 6,6% rispetto allo stesso mese del 2015, ovvero il migliore dato del 2010 (rispetto a novembre, la crescita è invece pari all’1,4%). Numerose le ragioni di questo balzo, dall’euro debole all’aumento dei consumi interni fino alla ripresa del prezzo del petrolio.
Il ritorno del barile sopra 50 dollari, grazie all’accordo tra i Paesi dell’Opec per un taglio congiunto della produzione, ha fatto sì che il comparto energetico fosse il settore di attività economica che ha registrato l’aumento più consistente dell’output: l’11,9%, percentuale che sale al 14,9% considerando nello specifico la fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria. Seguono la fabbricazione di mezzi di trasporto (+12,2%) e la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (+11,9%).
A frenare, a sorpresa, è l'abbigliamento
Quest’ultimo è un dato molto interessante, soprattutto se si considera che il settore tessile e la pelletteria sono l’unico comparto, insieme alla fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati, che registra un calo della produzione, accusando una flessione del 4,1%, legata in parte alla frenata dalla Cina. Ciò significa iniziare a scacciare lo spettro di un’Italia che produce solo scarpe e cinture e importa dall’Asia tutta l’elettronica da consumo. Soprattutto ora che venti di protezionismo soffiano sull’economia globale, emanciparsi in parte dalla dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento di queste categorie di beni consentirebbe di attutire meglio la frenata impressa alla globalizzazione, oltre che costituire un volano incomparabile per il mondo della ricerca.
Cresce la domanda interna
Le spie del cambiamento erano comunque già nell’aria. Il mese scorso l’indice che misura la fiducia degli industriali era salito ai massimi da un anno e già a novembre i dati su ordini e fatturato avevano segnato un significativo aumento, salendo rispettivamente dell’1,5% e del 2,4% rispetto al mese precedente. A fare la differenza erano stati l’incremento degli investimenti interni e la crescita delle produzioni rivolte verso l’economia domestica, che avevano mostrato un andamento migliore rispetto a quelle verso l’estero. Quest’ultimo è un segnale assai incoraggiante, da una parte perché testimonia una crescita dei consumi degli italiani, dall’altra una minore dipendenza della nostra industria dalla domanda esterna. In tempi di rigurgiti protezionisti, occorrerà sapersi attrezzare e i presupposti per essere ottimisti sembrano esserci.